tagliatelle_cmsa

Di che pasta sei fatto?

 

Il nostro Belpaese è conosciuto in tutto il mondo, oltre che per la bellezza della sua natura e per l’immenso patrimonio artistico, per la varietà infinita e l’assoluta qualità della sua offerta enogastronomica. La cucina italiana oramai da molti decenni è diventata un riferimento imprescindibile nel panorama mondiale e i nostri prodotti campeggiamo in bella mostra di sé sugli scaffali della piccola e della grande distribuzione in ogni dove.

In questa sterminata proposta di qualità un ruolo preminente è sicuramente quello rivestito dalla pasta italiana, oramai riconosciuta come la degna ambasciatrice delle nostre eccellenze gastronomiche.

In altra occasione sarà interessante raccontare il perché di tanto successo, con un annodarsi di storie e leggende che non sempre chiariscono le ragioni dell’inarrestabile sua affermazione; oggi vogliamo attirare la vostra attenzione non sulla pasta in genere ma verso alcune delle tante, tantissime tipologie di pasta che allietano, a volte da secoli, le tavole italiane.
 

Ogni regione della nostra amata penisola ha le sue tradizioni, le sue caratteristiche peculiari e quindi, immancabilmente anche la sua o le sue paste tipiche. Nel raccontarvi qualche storia, qualche interessante aneddoto, per comprenderne meglio l’origine anche dei nomi, non seguiremo una direzione che ragionevolmente ci porterebbe da nord a sud dello stivale, ma salteremo di regione in regione con il solo desiderio di stimolare il vostro interesse.
 

In questo viaggio del gusto ci sia consentito cominciare con una pasta per noi toscani molto cara, i Pici.

 

I Pici sono un tipo di pasta generalmente fatta a mano, simili agli spaghetti ma più larghi, tipici del sud della Toscana, in particolare della val d'Orcia, della val di Chiana, del Monte Amiata. La massima espressione territoriale: Pici all’Aglione. Abbiamo proposto anche una ricetta rivisitata Pici all'Aglio. L’origine del nome si perde nel tempo e molte sono le ipotesi formulate riguardo alla sua etimologia. Alcuni la fanno risalire addirittura ai tempi dell’antica Roma e alla figura del mitico Apicio, l’autore nel primo secolo del “De Re Coquinaria”. Secondo altri, il nome dei Pici è legato alla località di San Felice in Pincis, nei pressi di Castelnuovo. Per altri ancora il nome Pici deriverebbe dal verbo “appiccicare”, per il modo in cui vengono tirati a mano.
 

A testimonianza della loro antichissima storia, un affresco nella “Tomba dei Leopardi” a Tarquinia mostra che gli etruschi si cibavano di un piatto molto simile ai Pici. Una ciotola colma di lunghi fili di pasta. Saranno stati i progenitori dei Pici, degli spaghetti? E se l’antica terra di origine del nostro piatto nazionale fosse proprio la Toscana? Chissà, rimaniamo con questa domanda irrisolta e procediamo oltre.
 

Un paio di centinaia di chilometri verso nord e siamo in Veneto, la terra dei Bigoli.
Il nome pare provenga dal termine dialettale bigàt che significa bruco e richiama la loro forma allungata. La storia prende origine ai tempi della Serenissima Repubblica di Venezia, quando nel 1604 un pastaio di Padova depositò un brevetto per registrare un macchinario di sua invenzione. Mastro Abbondanza, così era conosciuto nella sua città, con il suo macchinario riuscì a produrre diversi tipi di pasta, ma uno in particolare riscosse universale successo, i bigoli. Abbinamento per tradizione è con la salsa di acciughe.
 

Una corsa a capofitto verso sud e arriviamo in Sicilia, nella provincia di Trapani, dove ci accolgono le Busiate.

La loro forma è quella di sottili tubi attorcigliati su se stessi e riguardo all’origine del nome sono due le ipotesi in campo: la prima sostiene che questo formato tradizionale di pasta si chiamerebbe così per la somiglianza con il “buso”, un particolare ferro da maglia utilizzato comunemente nel trapanese, mentre la seconda spiega il termine con il riferimento alla busa, ovvero il fusto della “disa” (Ampelodesmos mauritanicus), una graminacea tipica della macchia mediterranea che i contadini utilizzavano anticamente per legare i fasci di spighe. Ottime con il Pesto alla Trapanese.
 

In questo frenetico spaziare da nord a sud e viceversa, eccoci ora giunti in Emilia, la terra delle Tagliatelle.

Com’è facilmente immaginabile il loro nome deriva dal verbo "tagliare" o "affettare", visto che il prodotto finito si ottiene stendendo la pasta in sfoglia sottile e tagliandola, dopo averla arrotolata. Riguardo alla sua presunta origine nel 1931 l'illustratore e umorista bolognese Augusto Majani inventò di sana pianta una storiella secondo la quale le tagliatelle avrebbero visto la luce nel 1487 per mano del bolognese Zefirano, cuoco personale di Giovanni II Bentivoglio duca di Ferrara. Da ricordare inoltre che, sempre nel ventennio fascista, il padre del “futurismo” , Filippo Tommaso Marinetti, ne propose l'abolizione assieme ai maccheroni perché considerati cibi "antivirili" ed "antiguerrieri". Nientedimeno!
 

Parenti stretti delle tagliatelle sono i Tagliolini, pasta tradizionale del Molise e del Piemonte, dove sono comunemente conosciuti col nome di Tajarin. Ci sono infiniti usi di questi tipi di pasta ma l'abbinamento per eccezzione è Tajarin al Tartufo Bianco.


Adesso siamo giunti nell’Italia centrale, tra Umbria, Lazio, Marche e in parte la Romagna, terre dell’allora Stato Pontificio, dove ebbero origine gli Strozzapreti.
Perché Strozzapreti? “Omen nomen” si direbbe, ovvero il destino nel nome che deriverebbe dal fatto che questo tipo di pasta, data la sua forma, non sempre agevole da consumare, allude malignamente alla proverbiale golosità dei preti.  Come ci ricorda il poeta Gioachino Belli (1971-1863) che, in uno dei suoi celeberrimi sonetti romaneschi, racconta di un prete goloso e avido intento a trangugiare senza alcuna difficoltà perfino un’enorme porzione di Strozzapreti.

Di nuovo in Toscana, la terra delle Pappardelle, la cui origine del nome pare derivi dal toscanissimo verbo pappare.
Come ci ricorda Wikipedia “Questa versione più larga delle tagliatelle veniva mangiata nella Toscana orientale già nel tardo medioevo, viene citata più tardi in scritti del XIII secolo. Boccaccio le nomina nel Decameron (VIII,3) parlando del Paese di Bengodi dove le cuocevano in brodo di capponi, e poi gli gittavan quindi giù, e chi più ne pigliava più se n’aveva; e ivi presso correva un fiumicel di vernaccia e più tardi nell'opera tarda Il Corbaccio fatte con il formaggio. In epoca rinascimentale vengono citate da Pier Aretino…”
Sono ottimi sughi a base di cacciagione come ad esempio Ragù di Cinghiale.

Adesso un momento di raccoglimento, entrano in scena gli Spaghetti.
Si potrebbero consumare fiumi d’inchiostro per il re della pasta, il prodotto più conosciuto la cui origine è lontana nel tempo. Basti pensare che trovano origine nel VI secolo a.C. nella valle dell’Indo, un territorio situato in Asia occidentale che corrisponde in buona parte a quello occupato dall’odierno Pakistan. Nei primi tempi erano un semplice scarto, prodotto dalla lavorazione della pasta, nelle cucine reali del Sultano di Bahawalpur. Il nome pare derivi dalla loro forma una volta essiccati, che fece così esclamare alla loro vista il figlio del Sultano: “Di cosa si tratta? Sta impettita come i soldati di mio padre!” In quella regione per indicare un soldato si utilizzava il termine sipahee e questo nome fu subito attribuito a quel particolare tipo di pasta, gli Spaghetti appunto.

Ma come giunsero nella nostra penisola? Il responsabile di questo meraviglioso dono fu il nostro amato Marco Polo. Come ci ricorda il sito del pastificio Fabianelli – Pasta Toscana, “Di ritorno dal Catai, l’esploratore italiano fu ospitato da un mercante turco, che gli offrì un piatto locale dal sapore prelibato, gli spaghetti con i gamberi, chiamati in quel luogo spahi. L’autore de “Il Milione” ne rimase talmente colpito da farsi lasciare la ricetta e una volta rientrato a Venezia fece di tutto per diffonderla. La parola originaria “spahi” venne poi modificata dalla lingua italiana in “spaghi” e da lì a chiamarli affettuosamente “spaghetti” il passo fu breve.”

Per finire un salto in Campania, terra di ricchissima tradizione. Qui due tipologie di pasta spiccano sulle altre: Maccheroni e Paccheri.

L’etimologia della parola Maccheroni è alquanto controversa. Per alcuni il termine “maccherone” deriverebbe dal latino “maccare”, con il significato di schiacciare. Per altri la radice del termine originerebbe da “Maccus”, uno dei personaggi delle “Atellane”, primitivo spettacolo teatrale, giocoso e licenzioso, sorto presso Atella antica città della Campania. Si trattava di un Pulcinella ante-litteram, che come lui non sognava altro che il cibo e per mangiare era sempre pronto. Potrebbe derivare anche dalla parola greca “makar”, come sostenuto da Agnolo Morosini filologo vissuto nel ‘400, il cui significato è “beato, felice”: come ci si sente dopo aver mangiato un buon piatto di maccheroni!

Dulcis in fundo i Paccheri. Sono una pasta tipica della tradizione napoletana, con la forma di maccheroni giganti. Il termine deriva ancora una volta del greco antico (da πας, "tutto" e χειρ, "mano") dei fondatori di Parthènope, l’antica Napoli. Una "pacca", ovvero uno schiaffo dato a mano aperta. Da qui il nome del tipo di pasta, dalla taglia molto superiore al normale.

Abbiamo finito questo breve e assolutamente incompleto viaggio. Molte altre tipologie di pasta potrebbero attrarre la nostra attenzione, dalle Trofiette ai Fusilli, dalle Orecchiette alle Penne e tante altre ancora ma per adesso accontentiamoci e … buona pasta a tutti noi!


 

 

 

Condividi su:

Powered & Designed by Passepartout